Open Forum a teatro
Cosa ci fanno un prete, un assessore, una studentessa di liceo, un attore e un’altra quarantina di persone sul palco di un teatro, seduti in cerchio?
Potrebbe essere l’inizio di una barzelletta, o l’inizio di una ri-evoluzione. per me è stata di sicuro la seconda, anche se la componente ‘risata’ è stata fondamentale nell’Open Forum che si è svolto a Ceglie Messapica un paio di settimane fa, a conclusione di un training sulla Deep Democracy.
Il tema che avevamo scelto con il gruppo di ComuniTazione era la partecipazione a Ceglie.esistono forme di partecipazione reale tra cittadini, istituzioni e associazioni? come funzionano? come potrebbero essere più efficaci? strumenti, metodi, idee per disegnare insieme oggi la realtà di domani.
Il politically correct ha connotato la prima parte dell’evento: ogni voce aveva la possibilità di esprimersi, tutt* ci tenevano a presentarsi, a mostrare come il qualcosa che erano lì a rappresentare faccia il possibile per il cambiamento, per il miglioramento del paese della Val d’Itria. Sforzi e limiti venivano espressi, senza sbilanciarsi troppo…
Il ruolo dei sentimenti nell’Open Forum è per me ciò che lo differenzia da altri strumenti di esplorazione di un tema: l’atmosfera del campo creata dal gruppo è cambiata profondamente nel momento in cui un’artista presente ha comunicato il suo dolore nel non riuscire ad entrare in contatto con la comunità locale, nonostante le numerose iniziative. quel sentimento di frustrazione per non essere ascoltati, quel non riuscire a comunicare, in qualche modo accumunava tutt* sul palco, mogli e mariti, amministrazione e cittadin*, adulti e adolescenti.
Nel momento in cui quel sentimento è stato espresso, si è aperto come un vaso di Pandora, il teatro è stato sommerso da un fluido che collegava tutt*: una lingua comune da quel momento poteva essere usata, ognun* poteva sentirsi liber* di esprimersi, sarebbe sta* ascoltat*.
Quel terreno collettivo, quell’humus fertile, ha permesso di passare ad un gioco di ruoli. individuati i ruoli che polarizzavano la situazione, nello scopo di far emergere una consapevolezza comune, tutt* i/le partecipant* potevano entrare nel campo, esprimere il loro sentire da uno dei punti di vista, passare da un ruolo all’altro, far emergere la necessità di altri ruoli… quindi chi ha voluto, anche per pochi minuti, ha potuto vestire i panni dell’assessore, e l’assessore, libero dal suo usuale ruolo, ha potuto esprimere il cittadino-che-non-ha-voglia-di-partecipare-ad-un-bel-niente che era in lui.
E credo che per tutt* sia stato un momento catartico quando I., nel ruolo della pubblica amministrazione, ha chiesto ad un cittadino lamentoso: ‘ma tu che vuoi??’
Il silenzio seguito a quella domanda ha racchiuso per me il senso della partecipazione:
Il non delegare ad astratti enti competenti, ma prendersi la responsabilità delle proprie idee e azioni,
Il saper entrare in contatto con sé quanto con l’ambiente, per poi esprimere sogni e bisogni
Il diritto alla partecipazione è di ognun*, come lo è stare a guardare, non far niente, o aver bisogno di tempo per contattare i propri bisogni.
Quest’incontro è stato come una danza, e i diversi dialetti presenti, la musica: avvicinarsi e allontanarsi, cercarsi, confrontarsi, sfidarsi e passare con disinvoltura da un ruolo all’altro.
Come costruire la pace a ritmo di tarantella…